La secchia ed il pozzo

La secchia ed il pozzo

03/14/24·
Picchio
· 4 min read
Bacioni

Premessa

C’era un giorno in cui stavo in treno e divagavo come al solito. Avrei potuto certo fare molte cose ed effettivamente le stavo proprio facendo, supponendo che fare due cose significhi farne almeno due e che viaggiare in treno sia considerabile una cosa, s’intende.

Nello specifico stavo raccontando ad un’amica Trentina di una storiaccia brutta della tradizione Bolognese. Nulla di troppo originale quindi. Il fatto è, che lei era stanca e volendole rallegrare la giornata mi venne in mente di romanzarla un pochino, quella storia.

E dato che alla fine, vista la mia totale incapacità di gestire il mio tempo, si fece notte a furia di scrivere, pensai che potesse essere un buon primo articolo su questo mio blog.

Ve la riporto con dovizia di particolari e, se non foste Bolognesi, vi lascio il link ad una nota enciclopedia per leggervi la versione integrale.

Capitolo uno (e unico)

Certo questo forse sarà più breve di un libro, ma d’altronde questo non è un libro ed io non sono uno scrittore, quindi ci dovremo accontentare di quello che abbiamo.

C’era una volta un secchio. Si un secchio, di quelli che si mettevano nei cortili per tirare su l’acqua dai pozzi nelle case di campagna. Viene comunque da chiedersi se effettivamente tutte, ma propri o tutte le case di campagna avessero un secchio, ma diciamo che per amor di brevità faremo finta che fosse così.

Quello che è certo è che quel secchio era serenamente appeso a dondolare nel suo pozzo godendosi l’arietta novembrina che tirava un po’scherzosa e che ogni tanto gli faceva fare qualche allegro dondolio in quella casa appena fuori dalle mura di Bologna. Era giusto giusto lì per assopirsi, quando alla fattoria giunsero proprio dei gran brutti ceffi . Armati di tutto punto con spade archi, cavalli, arrivarono annunciati da un trambusto bello grosso.

Uomini che correvano dispersi, cavalli senza cavaliere, condottieri senza esercito e cardinali in mutande. Tutte cose che succedono in effetti, se sei nel 1325, sei un guelfo bolognese e hai appena partecipato alla battaglia della Zappolino Valley . Va detto che se effettivamente fossi uno dei personaggi qui descritti e non fossi rimasto a concimare le betulle sul campo di battaglia, avresti anche preso un sacco di botte e staresti scappando in mutande come il cardinale senza tante cerimonie.

Infatti quello che quel semplice secchio di legno stava per scoprire era che quei brutti ceffi di cui prima erano, nient’altro che sporchi Ghibellini Modenesi! Questi meschini campagnoli amici dell’imperatore erano riusciti da poco a conquistare la roccaforte di Monteveglio con un vile tradimento. Caduta la fortezza, i guelfi Bolognesi corsero ai ripari ed imbastirono alla bell’e meglio una strenua difesa al non meno celebre castello di Zappolino nel tentativo di salvare il salvabile e la città. Ma si sa che quando come sponsor hai Gesù e dunque un pacifista incallito la rima nel caso in cui siano da menare le mani non può che concludersi con aiutati tu . E così gli amici del papaccio (che per la verità dovevano essere anche un po’ paraculi) nonostante fossero superiori in numero, alla prima scoreggia dei modenesi si diedero alla fuga, confidando in Dio. Agl’altri non doveva parer vero. E quindi via di corsa verso Bologna. Ma se Zappolino era caduto facilmente, arrivati a Porta San Felice, i Modenesi si resero conto che lì le cose andavano in un’altra maniera. E quando iniziarono a piovere oggetti acuminati e qualcuno senza coperchioelmetto se li prese sulla testa e bè un gran bene non gli devono aver fatto, dato che decisero, nell’impossiblità di entrare, di fare quello che fanno tutti quelli che vogliono far passare il messaggio in modo inequivocabile: una sonora pernacchia.

Un pasticcio da mettersi le mani nei capelli, pensava il secchio. Peccato però che lui le mani non le avesse proprio, figuriamoci i capelli, quindi cercò di fare la faccia più corrucciata che poteva, cosa che lo rese ancora più brutto e gli valse l’attenzione del capo della combriccola. “Ma tu guarda che brutto secchio” mormorò. “Può fare al caso nostro”. E così afferrò il secchio, che per protesta iniziò a lanciare sguardi taglienti, ma si sa che nessuno è mai morto per uno sguardo e così quella masnada di Modenesi si prese il secchio, anzi per dirla giusta lo rapì. E, quando levarono le tende, lo portarono con loro a Modena, affinchè la pernacchia di cui sopra, potesse continuare ad imperitura memoria.

E così fu, infatti, visitando Modena è ancora possibile osservare, nella torre Ghirlandina, un vecchio e brutto secchio di legno, che, in segno di protesta, continua a lanciare feroci sguardi a chiunque si sogni di guardarlo.