La grande idea di correre in montagna
Inizialmente, come gli evangelisti, dovevamo essere quattro. Quattro matti che pensano che correre su e giù per una montagna possa, in qualche modo, essere una buona idea. E quindi decidemmo, di comune accordo, come fossimo gli eroi ritrovatisi a Gran Burrone (per chi ha letto di quella banda che face migliaia di chilometri per buttare un anello in un vulcano), o nelle più idilliache delle riunioni di condominio ci iscrivemmo al grande evento.
Poi però si sa che il caldo gioca brutti scherzi, tanto che a volte può far rinsavire. Fu questo il caso di una dei partecipanti, che, resasi improvvisamente conto della follia collettiva cui era stata sottoposta, esordì con: “io una roba del genere non esiste che la faccio” e tirò il pacco.
Pacco che evidentemente doveva aver colpito anche l’altra, probabilmente alla testa, perché alla notizia che probabilmente avrebbe dovuto correre da sola non fece una piega, confermando la più totale follia della banda di matti.
E così in un giorno di settembre, nuvoloso ma non troppo, soleggiato ma non troppo, ai piedi di un lago di medie dimensioni in realtà particolarmente estetico, lì ,accanto alle latrine di un campeggio, si radunò la masnada dei corridori di montagne.
L’atmosfera, come in ogni evento di questo tipo era ricca di fervente attesa e copricapi fiammeggianti: chi correva a prendere il pettorale, chi incontro ai propri amici, chi ancora a prendere un caffè, chi in bagno, probabilmente dopo averlo preso.
Ammassati nello stallo di partenza, come pinguini in preda alle migliori sostanze psicotrope iniziammo a muoverci seguendo le istruzioni dello sciamano delle corse, che reggendo un microfono, impartiva i comandi alla bolgia.
«In piedi! Seduti! Aaaaaaah zvegnaaaaaaaaaaa mmmmmmmh » con suoni tipici di chi sta per avere un ictus, il predicatore pazzo sputava in testa ai primi recalcitranti corridori, scandendo i minuti alla partenza, come in uno dei migliori gironi infernali.
Nel frattempo, nella parte più lontana dal predicatore dello stallo di partenza iniziava, con l’approssimarsi della partenza, il tipico rituale dell’ Eh Sai.
Son cose che succedono
Il rituale dell’Eh Sai si svolge in questo curioso modo: quando i corridori si trovano a ridosso del momento di partire, si generano in loro una crescente quantita’ di pensieri che generalmente includono una certa riflessione sul proprio stile di vita, il numero comparso sulla bilancia qualche giorno prima e la birretta di troppo della sera prima, assieme a tutte le altre che probabilmente costituiscono la causa del fatto che ora i pantaloni che indossa sembrano un po’ più stretti .
Questi pensieri, crescendo, generalmente fanno si che il corridore si guardi in torno, come a cercare suoi simili e, constatando che la sua forma fisica non è esattamente quella auspicata, ecco che sente l’ impellente desiderio di manifestare il proprio dispiacere per la cosa in un modo che sia facilmente comprensibile ai più.
Tipicamente questo modo prevede di trovare scuse inerenti l’ età: « Eh, sai, a cinquant’anni non c’ho più il fisico! », la propria condizione di salute: « Eh, sai, quest’ anno mi hanno operato il cane », o le glorie del passato: « Eh, sai, quando facevo le gare alle medie ero veramente un campione ».
Discorsi che immediatamente provocano risposte ancora più inverosimili dei vicini per empatizzare con chi sta sciorinando tutta la sua dialettica, nel tentativo di strappare uno straccio di giudizio positivo che di solito prende la forma di risposte come “eh, si, lo so guarda, anche io” (qualsiasi cosa l’ altro abbia detto)
E così tutto questo vociare, tra chi partecipa e chi ascolta con disinteressata comprensione il folle ballo dell’ intrattenitore, oramai paonazzo a furia di urlare, arriva il momento di partire.
Questione di gravità
Un colpo sordo e d’ improvviso la bolgia si scatena lungo i sentieri della montagna. D’improvviso ognuno si trasforma in una sua raffigurazione animalesca sbuffante e sudata: il ragioniere cinquantenne diventa un cinghialotto recalcitrante che grugnisce a non finire dando spallate in giro, il venditore porta a porta di calici per i piedi, nella sua metamorfosi, si ritrova con un bel paio di artigli da volpe, con i quali inizia ad attaccarsi agli altri concorrenti che sfrecciano uno sull’ altro, tentando di accaparrarsi un posto tra i primi o un infortunio di cui parlare agli amici.
E sarebbe tutto caoticamente perfetto se d’ improvviso, come la zia stronza alle riunioni di famiglia con un revolver carico di domande imbarazzanti, arriva la salita.
D’improvviso scende la calma. la masnada assatanata si trasforma in un piccolo zoo di provincia, ognuno al suo posto, troppo concentrato a respirare regolarmente e a chiedersi per quale motivo nel mondo ad un certo punto si sia deciso che mettersi contro la gravità potesse essere una buona idea.
Ma alla salita, da infame qual è, non importa proprio un fico delle sofferenze della gente e continua imperterrita ad essere ripida.
Ed ecco che piano piano la masnada di pazzi compie un nuova metamorfosi in una lenta fila ad un ufficio postale in un pomeriggio afoso in cui hai pensato che sarebbe stata una buona idea andare a pagare quel bollettino che stava da giorni sul tavolo.
E iniziano così le prime defezioni: ai bordi del sentiero si accasciano sfiniti gli incauti che prima si accalcavano e che ora, colti dalle allucinazioni, in piena crisi mistica, tentano di affogare la fatica e trovare il senso della propria vita tra i fumi e le grandi sorsate degli integratori dai colori più vari.
Ma si sa, che la salita non è per sempre e prima o poi spiana, ed ecco quindi, dopo un saliscendi tecnico che ha dato il voltastomaco al ragioniere-cinghiale ormai ebbro di Polase, arriviamo alla discesa in corda.
Ebbene sì. Qualcuno dell’ organizzazione aveva pensato bene di mettere una corda in un tratto di discesa verticale da cui i concorrenti potessero calarsi.
Inutile dire che in quei 30 metri si videro scene apocalittiche: chi imprecava, chi piangeva, chi urlava disperato in preda al panico e chi, attaccato alla corda stava lì , con sguardo catatonico, senza più capire nemmeno dove si trovasse.
Superata la corda, dopo un’altra ripida salita che diede a tutti modo di riflettere sul senso della vita, comparve come un miraggio, oasi nella tempesta, il punto di ristoro.
Il richiamo della fame
Lì i volontari si ergevano dritti davanti alle onde di corridori che assetati, affamati o ancora in shock per quanto accaduto prima, sopraggiungevano implorando per qualcosa da mettere nello stomaco. Ma si sa, l’essere umano non si smentisce mai e quando vede del cibo gratis abbandona ogni tipo di contegno. E nulla poté la ferma reazione dei volontari, ognuno si abbuffava selvaggiamente come se fossero mesi che non mangiava. Un baccanale incredibile pieno di persone che, più simili a criceti, facevano a gara a quanto cibo potesse trovare spazio in bocca prima di lanciarsi nuovamente sul percorso.
Lì ritrovai il mio amico, che durante il pezzo precendente mi aveva superato, vinto dai richiami dello stomaco. E poi giù come i pazzi, lungo una splendida discesa nella valle, intervallata da alcuni camminatori temerari che si stavano chiedendo da dove venisse quell’orda di sadici che correvano in discesa mezzi cappottati con addosso quantità imbarazzanti di cibo di ogni genere.
E niente, a quel punto mi presi la piccola rivincita della giornata, perché l’amico caro, ebbro di Gatorade anche lui ed agonista della domenica, aveva ben pensato di iniziare a prendermi in giro, probabilmente pensando che, visto il vantaggio che aveva accumulato nel pezzo precedente, fosse lui quello più veloce.
Purtroppo per lui le cose non stavano esattamente così e lo scoprì pochi km dopo quando, stufo di essere preso in giro, non solo lo superai, ma non lo rividi più per tutto il resto della gara.
Gara che in realtà, tra saliscendi piacevoli e una lunga discesa tecnica (in cui ne vidi più d’uno tentare metodi alternativi per scendere come quello di rotolare nel sottobosco fino a schiantarsi inevitabilmente contro gli alberi), mi portò, sbuffante ed in realtà con un ottimo tempo, all’arrivo.
Fine.